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Onde Bianche

Il racconto di Marta

  • Immagine del redattore: Sabrysan
    Sabrysan
  • 8 apr
  • Tempo di lettura: 2 min



Inizi a praticare il karate. Te ne innamori al primo kata, anzi, il giorno stesso che fai la fila del saluto per la prima volta, lì capisci che quella diventerà casa tua, che su quel tatami imparerai tanto su di te e sulla vita. Quel luogo e le sue regole ti mostreranno il 道 Dō, la "Via" che percorrerai, che inseguirai senza sosta. Del resto, 道場 Dōjō, il posto dove ci si allena, significa letteralmente "Luogo dove si pratica la Via".

Tutti i piccoli karateka rimangono ammaliati alla vista dei 先輩 "Senpai", ovvero dei compagni che possiedono un grado più alto di loro. Li vedono eseguire Kata che ti tolgono il fiato. Vedono con quanta enfasi e passione gridando il loro 気合 Kiai, la "fuoriuscita armoniosa dell'energia", quel grido che i comuni mortali pensano sia un grido casuale, un'usanza incomprensibile.

Ma la cosa che ogni karateka insegue più di tutte è la cintura nera. Dal momento che si inizia il proprio cammino nell'arte marziale, ci si allena pensando alla cintura nera come obiettivo ultimo, come l'apoteosi del karate, che oltre quello non c'è altro, hai raggiunto la tua destinazione.

Arrivi a cintura nera e capisci che non è così.

Fai l'esame in federazione, lo passi, il tuo Maestro ti lega la tua splendente cintura e scoppi in lacrime, non riesci a credere che dopo 9 lunghi anni sia arrivato questo momento. Ma se hai il coraggio, allora guardi le cose un po' più a fondo, e noti con stupore e gioia allo stesso tempo che dal momento che hai indossato la cintura nera, il tuo karate è appena iniziato. Buffo da dire? Insensato? Beh, tuttavia è esattamente così. È proprio a cintura nera che inizia la grande fatica. Come dice il Maestro Ferluga, il miglioramento avviene quando si comincia a sentire la fatica, quando non si riesce a fare qualcosa ai primi tentativi. E perché però tantissimi praticanti, quando arrivano a cintura nera tirano un respiro di sollievo e se ne vanno, pensando che il solo gesto di mettersi la cintura in vita significhi aver dato un senso a tutti quegli anni? Perché il karate funziona esattamente come funziona l'amore.

Nella Serie TV intitolata "Berlino" spin off della serie "La Casa di Carta", un personaggio fa una riflessione sull'amore. Dice che l'amore non è la passione che si prova all'inizio, il continuo desiderio dell'altro, la fame che hai di quella persona. L'amore tutto ciò che viene dopo queste cose: le difficoltà, la fatica, le incomprensioni... L'amore è il dopo, è il persistere, il continuare.

Il karate è analogo. Perché il karate è amore, ti spinge a dire "Non ce la faccio" per poi farti sentire dentro di te le parole "Voglio continuare! Io non mollo! Io AMO tutto ciò!". L'amore è eterno e quindi se il karate è amore allora un karateka è per la vita, se trova il coraggio, ogni giorno sul tatami e nella vita quotidiana.

Perché nel karate puoi trovare la gioia di vivere.

Se hai coraggio ;).





Marta Caiazzo 1° Dan "Spaccaossa"

 
 
 

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