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Come si comporta un tifoso Sakura?

Aggiornamento: 27 nov 2019


Come si comporta un tifoso Sakura?

Solitamente prima di una gara ci piace suggerire o ricordare ai nostri supporter come gestire il delicato momento della “tifoseria”. Sembrerà una misura esagerata, ma riteniamo che sia opportuno un allineamento di pensiero tra chi insegna, l’allievo e i suoi sostenitori, affinché il percorso educativo dei ragazzi proceda nella medesima direzione.

Nel dojo (luogo in cui ci si allena) si insegna ai ragazzi che la gara è un momento importante per la loro crescita, perché scendendo nell'area di gara essi dimostrano di avere il coraggio di mettersi in discussione; nel caso del kata (esecuzione di una serie prestabilita di tecniche), facendosi valutare da un estraneo, nel caso del kumite (combattimento), confrontandosi fisicamente con un avversario, oltre che con la paura di venire giudicato e di non essere all'altezza della situazione.


E' risaputo che in gara sia raro riuscire ad esprimere al 100% ciò che si è in grado di fare durante la lezione. Inoltre, anche quando ci si riesce, ciò non significa immediatamente successo o podio, poiché ci sono fattori esterni a noi che non possiamo controllare:

1) Gli avversari: nello stesso momento in cui i nostri ragazzi stanno sudando, da qualche altra palestra nel Lazio e in tutta Italia, ci sono centinaia di ragazzi che stanno facendo lo stesso. E tutti loro vogliono dare il meglio.

2) Il giudizio arbitrale: nel kata dipende da tanti criteri, non ultimo il percorso personale di un arbitro, e tiene in considerazione infiniti elementi che ad un occhio profano possono sfuggire; nel kumite, invece, la valutazione è difficilissima ed inevitabilmente soggetta ad errori umani, cosa che qualsiasi atleta può confermare; per abituarsi a questo, in palestra ci auto-arbitriamo proprio per ricordarci di quanto sia difficile avere in un attimo una visuale chiara, e di quanti punti di vista ci possono essere davanti alla stessa situazione. Per arbitrare ci vogliono anni di formazione e, nonostante questo, è possibile sbagliare, perché semplicemente vedere tutto in un istante fulmineo è difficile.


Di conseguenza, il comportamento più sano che si possa assumere, da parte di un genitore, nonno, zio, amico o chiunque accompagni un atleta, è l'incoraggiamento sincero, a prescindere dal risultato, mirato a premiare l'impegno, perché l'unico dovere con cui gli allievi scendono in campo è "fare del proprio meglio", non solo a parole, ma con fatti concreti. Questo concetto, che può sembrare banale, non lo è affatto, perché per uno studente di karate una gara non è un gioco, ma una parte del proprio percorso di vita.

Sappiamo bene che il combattimento smuove gli animi e chi segue l'incontro tende a vedere solo un punto di vista: quello dell’atleta a cui si vuol bene. Perdiamo, cioè, di oggettività. Se l’arbitro sbaglia a nostro favore, tendiamo a non farci caso, pensiamo dentro di noi “che fortuna”, e subito dopo ce lo dimentichiamo. Se l’arbitro sbaglia a nostro sfavore, ci infiammiamo, sgraniamo gli occhi in cerca di qualcuno che ha visto lo stesso errore e subito diamo voce alla nostra idea, diffondendo l’ipotesi che abbiamo subito un’ingiustizia. Ecco la parola chiave: ingiustizia.

Se il nostro atleta torna a casa pensando di aver "subìto un’ingiustizia”, ecco che imbocca la strada sbagliata. Sebbene inizialmente possa avere una funzione consolatoria, questo suggerimento allontanerà l'atleta dalla strada giusta. Pensare che sia colpa dell’arbitro vuol dire incattivirsi e perdere di lucidità. L'atleta deve tornare a casa consapevole delle cose che hanno funzionato e di quelle che non hanno funzionato. Nella sua testa i quesiti che devono restare sono i seguenti (o simili):

  • Hanno funzionato le mie combinazioni?

  • Perché non sono riuscito a concludere?

  • Perché non sono riuscito a mantenere la lucidità?

  • Il mio corpo rispondeva bene agli stimoli inviati dal mio cervello?

  • Cosa mi ha messo più in difficoltà del mio avversario?

Concentrandosi su quesiti del genere, parlando di essi e delle proprie sensazioni una volta rientrati a lezioni, l'allievo di volta in volta conoscerà meglio sé stesso e potrà migliorarsi, perché si concentra su limiti da superare.. Ma se torna con l’idea di aver perso perché l’arbitro ha sbagliato, su cosa lavorerà?

Molto probabilmente, non lavorerà su niente, o forse non avrà più tanta voglia di lavorare.

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